Severino: Noi siamo invitati a parlare della verità. E' importante che si sia stati invitati, perché la cosa peggiore è voler parlare della verità. Quando si vuole parlare della verità, magari si vuol dire che cosa è la verità e magari ci si mette anche a fare propaganda in favore della verità. Cerchiamo quindi tutti di salvaguardare il nostro "essere invitati". Parliamo della verità, perché ci è chiesto; diffidiamo di coloro che invece, in prima persona, si fanno avanti e si propongono di parlare della verità.
Secondo Lei non è riduttivo considerare la verità come un farmaco, come un "rimedio", come un qualcosa che ci protegge, e non come una ricerca un po' superiore a questo, che va oltre?
Nella storia della nostra civiltà, nella storia dell'Occidente, la verità ha avito il compito di essere un "rimedio". Platone diceva ai giovani che bisogna cominciare a fare filosofia intorno ai trent'anni. Perché? Perché i giovani devono ancora imparare a vivere e a soffrire. Il giovane è l'essere umano che soffre poco. Ci rendiamo quindi conto che il dolore è il dato in relazione al quale prendiamo ogni decisione.
Porre, come ha fatto l'Occidente, la verità in relazione al dolore, non è riduttivo. Che la verità abbia avuto il compito di salvare dal dolore non è affatto riduttivo! Però il senso che la verità può avere non si deve ridurre al senso che la verità ha avuto nella cultura occidentale.
Dobbiamo considerare la verità solo come uno strumento, o come qualcosa di più elevato?
La domanda è bella perché bisognerebbe innanzi tutto che ci mettessimo d'accordo sul significato di questa parola: "verità". Penso che parliamo a vanvera se, innanzi tutto, non ci intendiamo sul significato della parola "verità". Penso che l'accertamento del significato di questa parola costituisca l'avventura più straordinaria che l'uomo abbia compiuto.
Che cosa intendo dire? Prima di conquistare i pianeti, prima di conquistare il centro della terra, prima di dominare le civiltà, è necessaria quell'avventura che consiste nel poter sapere qualcosa che non possa essere assolutamente negata. Quindi, innanzi tutto, pensiamo all'evocazione compiuta dai Greci: la verità come l'assolutamente innegabile, ma innegabile in modo tale che né cambiamento di epoche, né mutazione di cultura, né uomini, né Dei la possono cambiare. Neanche un Dio onnipotente può cambiare il contenuto della verità.
Questo è ciò che i Greci pensano. Lo sviluppo della nostra conversazione deve riferirsi a questo nucleo, a questo ombelico, che permane lungo tutta la nostra storia.
Anche quando non si crederà più che esista una verità, ci si riferirà a quel senso che la verità possiede all'inizio, cioè come assoluta innegabilità, incontrovertibilità.
Qual è il rapporto tra l'uomo e la verità. L'uomo alla ricerca della verità, come deve cercarla?
C'è un modo di pensare la verità che non potrà mai condurre alla verità. Si dice che l'uomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perché se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla. Questa è l'immagine che lei ha enunciato chiaramente: questa è l'immagine di tutta la tradizione occidentale, anche scientifica. Laggiù c'è la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Magari possiamo, a questo proposito, usare una metafora evangelica, molto bella: ci mettiamo a "bussare alla porta della verità".
Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità? Può esser compiuto questo cammino nella verità, se ci mettiamo, se partiamo dal principio che la verità sia laggiù, chiusa in una casa? Se la verità è chiusa là, il cammino percorso è nella non verità. Allora se bussiamo alla porta non ci sarà aperto.
Questo che cosa vuol dire? Che se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. L'alternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nell'altro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana.
Esiste una sola verità o sono possibili tante verità?
Quando si parla di verità e si dice: è "l'innegabile", a tal punto che nemmeno un Dio può negarla, ci rifaremo al modo in cui l'intera tradizione occidentale ha inteso la verità, cioè come "una". Una molteplicità di verità si negano tra di loro.
Come può venire in mente il concetto di una molteplicità di verità.? L'idea di una verità molteplice, conflittuale, internamente conflittuale (a verità del cristiano, la verità del marxista, la verità del capitalista, la verità del democratico, la verità del comunista), questo concetto conflittuale di verità è l'esito della distruzione inevitabile di quel grandioso concetto di verità, al quale alludevo prima: la verità come rimedio del dolore.
Tutta la complessa storia dell'Occidente è, per così dire, scandita in due gradi tempi: dapprima si cerca che cosa sia l'innegabile, si cerca di dire cos'è ciò che è innegabile, perché i candidati sono molti.
Negli ultimi duecento anni ci si rende invece conto, attraverso un lungo processo, che il senso tradizionale della verità è destinato a tramontare. Ma il tramonto della verità non è il tramonto di un qualche cosa che si studia nella lezione di filosofia, a scuola. Il senso della verità anima le opere, le istituzioni dell'Occidente: Chiesa, Stato, economia, iniziative pratiche, prassi. Se pensate alla verità come un qualche cosa che non abbia a che vedere con la vita non stareste capendo niente di ciò che il pensiero filosofico ha inteso con questa parola. La verità è ciò che alimenta l'intera tradizione.
Allora io affermo qualcosa di grave: la tradizione filosofica è necessariamente destinata al tramonto. Quel tramonto porta a quel concetto di molteplicità di verità.
Diqui, se noi dovessimo andare avanti a discutere, la discussione dovrebbe prendere questa piega: per quale motivo tramonta quella tradizione, in cui ci sono tutti i grandi valori ai quali noi per lo più crediamo? Il valore della morale, il valore cristiano, il valore democratico, il valore delle leggi naturali, il valore della democrazia.
Lei prima ha ricordato come la verità debba essere un qualcosa che non può essere negato, di inattaccabile. Nel corso della storia si è data come verità, con il Cristianesimo, Dio. "Dio-verità". Lei non pensa che dire "Dio-verità" vuol dire porre come verità il mistero della vita? Affidare a Dio i misteri senza però risolverli, cosa che invece adesso si sta facendo? Lei non pensa a ciò?
Lei dice che la verità emerge. Lei dà un'enfasi particolare al Cristianesimo. Già questo è un qualche cosa che non è possibile accettare, perché, quando il Cristianesimo parla di verità e dice: la verità è Cristo, e Cristo è il figlio Dio, quando il Cristianesimo usa la parola "verità", non la inventa il Cristianesimo.
La parola "verità" non è inventata dal Cristianesimo.
Il Cristianesimo attribuisce alla fede i caratteri che la filosofia greca ha attribuito a quella che Aristotele chiamava "filosofia prima", la "proto-philosophia", cioè verità. Anche Aristotele pensa: l'innegabile, l'indubitabile, il certissimo, l'assolutamente non discutibile. Tutti questi tratti, tutti questi elementi, il Cristianesimo li attribuisce alla fede. Se uno ha fede, non può dire: "Mah, io credo, forse che sì forse che no". No. Chi crede è assolutamente certo, crede di affermare qualche cosa di assolutamente innegabile.
Questo per quanto riguarda l'aspetto "formale" della verità, cioè i caratteri, i tratti della verità. Il Cristianesimo non inventa il senso della verità. Ma non inventa neanche Dio. E non inventa neanche ciò per cui Dio è così caratterizzante all'interno del Cristianesimo, come Dio creatore, perché il concetto cristiano di creazione, è creazione dal nulla, ex nihilo. Il Cristianesimo, la teologia - la grande teologia cristiana, perché si tratta di grandi esperienze che, pur venendo messe in discussione, mantengono una dimensione gigantesca - parla di creazione come creatio ex nihilo. Per il Cristianesimo la creazione è creazione dal nulla? Questo nihil, questo nulla non è inventato dal Cristianesimo, ma sono i Greci per primi a pensare, in un senso assolutamente radicale, il senso del nulla.
Gli imperativi morali possono essere considerati come un risvolto della verità? Un risvolto che rischia d'essere, spesso, soffocante?
Io finora ho lasciato parlare la nostra storia. Non sono io che credo che la verità e Dio sono soffocanti. Io vi ricordo che l'età contemporanea è radicata in questa convinzione. Sono duecento anni che il nostro tempo sta allontanandosi da Dio.
Oggi, ad esempio, si pensa che il Cristianesimo sia in rimonta. Vent'anni fa si pensava al Cristianesiomo come a un grande fenomeno in declino; oggi invece è in rimonta, ma nonostante questo andamento sinsoidale, la direzione generale, la tendenza fondamentale del nostro tempo, è verso il declino di tutte le grandi forme della civiltà.
Questo non sono io a dirlo. Io sono quello che descrive una struttura, che spesso è perduta di vista: questo discorso su Dio non mi appartiene, appartiene alla storia dell'Occidente. Questo non perché io sia un sostenitore di Dio, ma perché sostengo che l'ateo e il credente abbiano un'anima comune. Sia l'ateismo sia l'affermazione di Dio sono lotte in famiglia all'interno di un comune modo di pensare: quel modo di pensare che crede che l'uomo sia un essere effimero, che esce dal nulla e che ritorna nel nulla. In relazione a quel modo di pensare, il credente e l'ateo hanno la stessa anima.
Vale la pensa di sentire il mio discorso solo se non è mio, se non è prodotto di un individuo. Il cosiddetto "mio" discorso allude a qualche cosa che sta oltre la storia dell'Occidente, di cui fin qui abbiamo parlato.
Vorrei riallacciarmi al tema dell'unità e della molteplicità della verità. A mio giudizio occorre capire se, col processo tecnologico, ci sono delle verità che si vengono a scoprire, ed altre verità che vengono confutate. Il processo tecnologico può implicare il raggiungimento di una verità assoluta?
Avevamo accennato al fatto che la tradizione, non soltanto il pensiero dell'Occidente, è destinata a tramontare. Oggi, soprattutto dopo il crollo del socialismo reale, restano in piedi ancora grandi forze della tradizione occidentale. Le indicavamo prima. Lo stesso capitalismo, che è un grande modo di pensare, il comunismo, che è un altro grande modo di pensare, il cristianesimo, la democrazia, ecc. Avevo accennato prima al fatto che ognuna di queste forze oggi in campo crede di servirsi della tecnica per realizzare il proprio mondo di valori. Il cristiano vuol servirsi della tecnica per realizzare il mondo cristiano. Questa è l'illusione, perché la tecnica ha un proprio scopo: quello di incrementare all'infinito la capacità dell'uomo di trasformare il mondo. Questa è la verità dominante all'interno dell'Occidente, è la verità che depotenzia tutte le altre forme di verità all'interno della storia dell'Occidente. Il problema di tutti i problemi è proprio qui. Ma il senso che la verità possiede all'interno della storia dell'Occidente, e per il quale siamo destinati alla civiltà della tecnica, questo senso della verità è l'unico possibile? La mia risposta è un "no" grande come un cielo.
La verità non è mai stata trovata: non abbiamo mai avuto una risposta certa. Secondo Lei non è possibile ipotizzare che la verità stia proprio nell'esistenza, nel vivere, nella "verità come vita"?
La verità non è mai stata trovata perché la possediamo già da sempre. Non è che sia, ripeto, quella casa laggiù in cui si debba entrare. A costo di scandalizzarvi, ricordo che a Gesù, quando è sulla croce, il ladrone dice: "Signore oggi ricordati di me". Gesù gli risponde: "Quest'oggi tu sarai con me in Paradiso". Ciò a cui questo discorso - che tento di portare alla luce, al di là della storia dell'Occidente - porta è l'affermazione: "Badate, voi, noi, tutti, siamo già da sempre in Paradiso".
La radice greca di Paradiso vuol dire "esser presso gli Dei", "essere presso il divino". Quindi io sono lontanissimo dal dire: la verità non è mai stata trovata. Non è mai stata trovata perché l'abbiamo sempre. E' forse il linguaggio - qui verrebbe fuori il tema del linguaggio - che la occulta?
Per tornare al cielo, questa volta non stellato, la verità è come il cielo. Se un cacciatore pensa agli uccelli e spara agli uccelli, non vede il cielo. Ma il cielo splende sempre al di sopra della sua testa. Lui crede di non vedere altro che i volatili, le migrazioni degli uccelli e magari pensa a un cielo e "Chissà mai quando mai lo vedrò! Chissà mai se lo troverò".
No, il cielo è qui da noi. Noi siamo nel cielo.
1997, E.Severino
venerdì 26 giugno 2009
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2 commenti:
questo articolo merita più di una riflessione, merita una meditazione.
Severino propone sempre spunti di riflessione al di là di quello che ci si potrebbe aspettare
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