Si fa presto a dire che in Pakistan i Cristiani sono perseguitati dai “fondamentalisti” islamici. Il massacro di ieri – 7 persone bruciate vive dalla folla, donne e bambini compresi – dimostra che non è così. Dagli anni Settanta, cioè da quando nel Paese fu introdotta la Sharia, la comunità cristiana è nel mirino della Legge islamica. Con i governi di Ali Bhutto e Zia ul-Haq passano le indecenti leggi sulla “blasfemia” che negli ultimi anni hanno permesso di arrestare e minacciare con la pena capitale chi appartiene ad altre minoranze religiose (in Pakistan vivono oltre 2 milioni e mezzo di cristiani).
Questa legislazione è stata rinforzata da Nawaz Sharif nel ’91, lo stesso Sharif dipinto come un eroe del Pakistan democratico dopo che la Corte Suprema pakistana gli aveva dato ragione nella disputa con il generale Musharraf. Per protestare contro le leggi sulla blasfemia, in quel periodo, il vescovo di Faisalabad decise di suicidarsi.
Nei giorni scorsi, la folla islamica ha fatto scempio della comunità di Goan accusando i cristiani di aver insultato il Corano. Che adesso il governo pakistano si dolga dell’accaduto (il ministro delle minoranze Bhatti ha detto che “la folla è stata sviata dagli estremisti”, cioè dai chierici che predicano contro i cristiani) e abbia spedito i Ranger a riprendere il controllo della situazione (50 arresti tra i “fondamentalisti” nelle ultime ore) conta davvero poco.
Ieri Benedetto XVI ha chiesto di pregare per i “cristiana discriminati e perseguitati a causa del nome di Cristo”. In effetti, in Pakistan, basta affermare che “Gesù è figlio di Dio” per rischiare una condanna a morte (articolo 295 del Codice Penale, è reato “accostare qualcosa o qualcuno alla venerazione del nome di Allah e del Profeta Maometto”). Quindi, se la legge dice che i cristiani sono blasfemi e vanno puniti con l’esecuzione capitale perché il governo pakistano si stupisce tanto se la folla incitata dai mullah dà fuoco alle chiese e a chi ci prega dentro? Con la scusa del fondamentalismo si legittima lo stato di fatto.
Il 28 ottobre del 2001, a Lahore, i miliziani islamici freddarono 15 cristiani in una Chiesa. Un messaggio molto chiaro e 3 settimane dall’inizio della Guerra in Afghanistan. Il 25 settembre del 2002, altri 7 cristiani che si occupavano di beneficenza furono tolti di mezzo a Karachi; vennero ritrovati incaprettati e con la bocca coperta da nastro adesivo. Nel novembre del 2005, 3.000 “fondamentalisti” attaccarono e distrussero chiese e luoghi di culto cristiani in tutto il Paese. Il governo non mosse un dito per perseguirli.
Nel febbraio del 2006, dopo la pubblicazione delle vignette danesi su Maometto, a essere prese di mira furono le scuole cristiane in Pakistan; in quel caso la polizia riuscì a trattenere a stento la folla. Qualche mese dopo, un pakistano cristiano venne selvaggiamente picchiato perché stava bevendo acqua da una fontana pubblica. Dissero che “il cane cristiano ci stava avvelenando”. Quell’estate, altri 3 cristiani furono feriti seriamente e di un altro si sono perse le tracce dopo che la folla aveva assaltato un villaggio nei pressi di Lahore, bruciando le case e dissacrando le Bibbie.
Il 5 dicembre 2007, la prima kamikaze pakistana coperta dal burqa si fece esplodere davanti a una scuola cattolica. Negli ultimi due anni si è perso il conto degli arresti per blasfemia, delle conversioni forzate all’Islam, delle minacce rivolte ai cristiani ma anche al Papa dai chierici inferociti per il protrarsi della “occupazione dei Crociati” in Afghanistan.
Ieri il presidente pakistano Ali Zardari è intervenuto per dire che le violenze di Goan “Vanno contro lo spirito dell’Islam e le norme della società civile”. Viene da chiedersi quali pensando alle leggi in vigore in Pakistan.
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