giovedì 8 gennaio 2009

Libertà religiosa e Ecumenismo

Per l’uomo moderno la sola verità esistente è il pensiero dell’uomo. Non a caso qualsiasi Società e qualsiasi Stato fondati sui principi del 1789 riguardo i Diritti dell’uomo, si sono ritrovati nell’impossibilità di riconoscere e professare qualunque verità, qualunque culto. E’ la logica conseguenza delle libertà moderne. Mi spiego. Prendiamo come esempio la libertà di insegnamento. Un certo maestro insegna la seguente preposizione: “ DIO ESISTE, GESU’ CRISTO E’ DIO, LA CHIESA CATTOLICA E’ UN OPERA DIVINA”. In virtù dei suoi principi, lo stato deve lasciarlo fare.
Un altro maestro insegna dottrine contraddittorie rispetto alle precedenti: “DIO NON ESISTE, GESU’ CRISTO NON E’ MAI ESISTITO, LA CHIESA E’ UNA COSPIRAZIONE”.
In virtù degli stessi principi, lo stato deve lasciarlo fare.
Questo significa che lo stato non rispetta nessuno di questi insegnamenti e non ne riconosce nessuno come vero. Li deve rispettare entrambi, in base allo stesso principio costituzionale e su un piede di uguaglianza.
L’unica verità per esso e che ognuno è libero di insegnare. Dal punto di vista strettamente razionale, lo Stato moderno è dunque necessariamente ateo e libero pensatore poiché le Costituzioni degli Stati sono libere pensatrici, atee o più precisamente “senza verità”, ovverosia, in pratica: contro la verità, contro Dio.
In effetti, quando lo Stato moderno si trova di fronte a una verità realmente esistente quale la verità prima, Dio, che atteggiamento deve adottare, pena rinnegare i suoi principi?
Occorre che non sappia che nella preposizione “Dio esiste” si trova la verità. Occorre che non riconosco questa preposizione. Se la riconoscesse, esprimerebbe la sua conoscenza della verità e la proprio volontà di aderirvi. Esso non può fare ne una ne l’altra cosa. Socialmente lo Stato Moderno, deve ignorare l’esistenza della verità. Deve opporsi a che un insegnamento si diffonda in esso come verità. La verità, in tal caso, dimostrerebbe la sua superiorità sullo Stato e sulle costituzioni, e ciò non lo si tollera.
Gli stati e le costituzioni dei popoli devono contrastare l’azione della Verità, affinchè essi restino ciò che sono, ovvero indifferenti, atei, contrari a qualsiasi principio che non li lasci padrone e arbitri dei loro destini, in pratica contro Dio, contro Cristo e la sua Chiesa.
Al contrario, ogni pensiero, in quanto pensiero dell’uomo, è di diritto insegnabile. Esso ottiene il suffragio dello stato. Il motivo è perentorio. Lo stato conosce solo l’uomo. Il pensiero umano, le idee sono un prodotto dello spirito umano. Insegnandoli, nulla di superiore all’uomo viene introdotto nella società.
I principi “Dio esiste”, “la Chiesa cattolica è divina”, possono essere insegnati di diritto, non in quanto espressione di una verità oggettiva, ma in quanto alcuni sudditi dello stato stimano questi pensieri buoni e di utilità pubblica e privata. I principi contrari possono essere insegnati allo stesso titolo.
Altrettanto si dirà logicamente dell’insegnamento del furto, dell’omicidio, dell’immoralità e dell’assassinio.Una legislazione in contraddizione con i principi dello stato: condanna e giustizia lo sfortunato che li mette in pratica, ma non impedisce un insegnamento che conduce a queste vie.
In breve, lo stato insegna, attraverso i propri sudditi, il pensiero degli stessi sudditi.
Non può essere che così, visto che lo stato conosce solo l’uomo e ciò che p dell’uomo.
Ecco come i Principi e il Diritto Moderno conducono fatalmente a una ingiustizia suprema nei riguardi di Dio e a una ingiuria verso di Lui.
Così si esprime Leone XIII:
“Quando si tratta del odo di agire di fronte alla cosa pubblica, i cattolici sono sollecitati a interessi opposti e si esasperano in violente dispute provenienti speddo da divergenze nell’interpretazione della dottrina cattolica in materia di liberalismo.
Il principio e il fondamento del liberalismo è il rifiuto della Legge Divina: ciò che vogliono in filosofia i seguaci del liberalismo o del razionalismo, i fautori del liberalismo lo vogliono nell’ordine morale e civile, in quanto essi introducono nelle abitudini e nella pratica della vita principi proposti dal naturalismo. Ora, il punto di partenza di ogni razionalismo è la sovranità della ragione umana che, rifiutando l’obbedienza dovuta alla ragione divina ed eterna e pretendendo derivare solo da se stessa, si considera essa stessa e essa sola principio supremo, fonte e giudice della verità. Tale è la pretesa di coloro che abbiamo definito settari del liberalismo; secondo costoro, non esiste alcun potere divino al quale si sia tenuti a obbedire nella pratica della vita, ma ognuno è padrone di se stesso e rispetta la propria legge.
Da ciò deriva questa morale che definiamo indipendente e che, dietro l’apparenza di libertà, sviando la volontà dall’osservanza dei precetti Divini, accorda all’uomo una licenza illimitata. Questo è il primo e il più pernicioso grado di liberalismo; mentre da una parte rifiuta anzi, distrugge completamente qualsiasi autorità e qualsiasi legge Divina tanto naturale quanto soprannaturale, dall’altra afferma che la Costituzione della Società dipende dalla volontà di ognuno e che il potere deriva dalla moltitudine, che ne è la fonte principale”
In ciò vi è certamente una ingiustizia nei confronti dell’uomo, a fronte di ciò consideriamo altresì il dogma della Redenzione, i diritti di Gesù Cristo su qualsiasi intelletto e su qualsiasi volontà ed evidenziamo come, usurpando gli incontestabili diritti divini, il liberalismo commetta un peccato contro Gesù Cristo. Inoltre, questa ingiustizia esiste e si manifesta in un altro modo. Avendo Gesù Cristo riscattato l’uomo a mezzo della propria redenzione e, dunque, avendo su di esso acquisito dei diritti incontestabili, tali diritti in Cristo diventano diritti dell’uomo.
Mi spiego: una cosa è indispensabile per la mia santificazione; per esempio è necessario che Gesù Cristo sia teoricamente e praticamente proclamato Re dell’universo e Re delle anime. Io ho diritto, per merito di Gesù Cristo, a che la società sia Cristiana e Cattolica, che gli stati siano cattolici. Questo diritto è tanto più degno di rispetto in quanto non appartiene all’uomo se non nella misura in cui Cristo stesso glielo ha donato. I principi liberali creano di fatto negli animi o l’anarchia o la tirannia. Che l’anarchia derivi dal liberalismo come una conseguenza deriva del suo principio, è evidente: secondo le costituzioni moderne ognuno ha il diritto di pensare come vuole e di agire come pensa. Ora se il pensiero è la linea di condotta di ognuno, senza il freno della verità oggettiva, è ovvio che si vada verso la dissoluzione completa della mente e della volontà.
In più, il liberalismo sfocia fatalmente nella tirannia, poiché per metter un freno a qualsivoglia deviazione della mente, del cuore e della passione, si è dovuti ricorrere alla volontà generale e si sono dovute creare delle leggi. Solo la legge determina il diritto, ma se la legge rappresenta la volontà generale del popolo e se questo popolo è guidato da una volontà malvagia, atea, empia, immorale, cos’altro aspettarsi se non la tirannia?
Si governa in nome del popolo e a nome di questo popolo si imporranno le più turpi e incredibili ingiustizie. Tali sono le conseguenze del liberalismo: il liberalismo mina alla radice ogni ordine in qualsiasi società..
C’è una conseguenza del liberalismo espressa da Leone XIII in questi termini: “ E’ incalcolabile il numero delle anime che si perdono a causa delle condizioni poste ai popolo dai principi del Diritto Moderno”.
Esaminiamo per esempio il male prodotto dalla libertà di stampa. Quante anime vengono corrotte dalla lettura di cattiva stampa, giornali, libri. Quante anime in questo momento sono dannate e non lo sarebbero se questa maledetta libertà di stampa non esistesse? Lo stesso vale per la libertà di insegnamento.

Per rendersi conto del male causato dal LIBERALISMO CATTOLICO, bisogna porsi dal punto di vista che abbiamo sopra esposto, tranquillizzando e addormentando le coscienze, questo liberalismo non impedisce al male di esistere, ma impedisce al bene di realizzarsi.

Ecco perché libertà di religione ed ecumenismo non possono essere teorie cattoliche, poiché condannate ampiamente da almeno 4 Pontefici: Leone XIII, Pio IX, Pio X, Pio XI, mentre PIO XII riconfermò più volte il magistero già espresso dai predecessori precedenti.

Oggi tutti si affanno a cercare i rimedi a questa apostasia generalizzata, ricette e idee di tutti i tipi, ma basterebbe obbedire ai Pontefici che hanno così ben capito e illustrato i mali moderni.
Leone XIII si esprime a riguardo in questi termini: “Questo è il segreto del problema: quando un essere organico deperisce e si corrompe, ha evidentemente cessato di essere sotto l’azione delle cause che gli avevano dato forma e costituzione. Per rifarlo sano e fiorente, non vi è dubbio che lo si debba risotto porre all’azione vivificante di queste stesse cause. Ora, la società attuale, nel folle tentativo compiuto di sfuggire al suo Dio, ha rifiutato l’ordine soprannaturale e la rivelazione divina; essa si è così sottratta all’efficacia salvifica del Cristianesimo, che è manifestatamente la più solida garanzia dell’ordine, il più forte bene della fratellanza e l’inesauribile fonte di virtù pubbliche e private.
Da questo abbandono è nato il turbamento che affligge attualmente. E’ dunque in seno al Cristianesimo che questa società deviata deve rientrare se ha a cuore il proprio benessere, il proprio riposo e la propria salvezza. Ritornare ai principi cristiani e conformarvi per tutta la vita le abitudini e le istituzioni dei popoli è una necessità che di giorno in giorno diventa più palese”.

Ed ecco che si pone ai nostri sguardi oltre che il sapere anche il fare: quale azione?
Noi dobbiamo in questo caso mettere in pratica le parole di Gesù Cristo ai suoi apostoli “Andate per l’intero mondo; istruite i popoli”.
Gesù non dice “restate qui, fate penitenza”, dice “andate, istruite”. Dunque dobbiamo agire attraverso la parola e attraverso tutti i mezzi che possono far penetrare nelle anime la Verità. D’altronde constatiamo che i nemici di Cristo ricorrono ad altri mezzi oltre la parola; tutto è lecito per loro, purchè si centri l’obbiettivo. Per impadronirsi della classe operaia, sono ricorsi a opere create ad arte: cooperative, sindacati, consigli di fabbrica, manifesti, volantini, ecc.
Pertanto stessa cosa deve essere la nostra azione. Tale azione spetta innanzitutto alle Autorità Ecclesiastiche. Fin da Pio V i Papi si sono ingegnati a inculcare al Clero e al popolo i soli principi della Salvezza Sociale. Non sono stati ascoltati.
Tra i Vescovi, sono piuttosto rari quelli che hanno applicato nella propria diocesi principi che, per propria natura, si rivolgono al mondo intero.
Ecco che si spiega come, attaccandosi a necessità di ordine locale, essi non abbiano contribuito, nella misura dovuta, a diffondere e applicare le direttive proposte al mondo intero dai Sommi Pontefici. A maggior ragione il clero non è stato in grado di dedicarsi a una azione vivificante ed efficace per diffondere Cristo in ogni società.
Ovviamente, al Papa, ai Vescovi, e al Clero spetta il compito di insegnare e istruire.
E’ altresì evidente però, che anche i laici sono chiamati, per un bisogno urgente di carità, a istruire il prossimo e a fare il bene tanto nell’Ordine Sociale quanto in quello individuale.
Leone XIII lo ha dichiarato in questi termini: “ La cooperazione privata è stata giudicata dai padri del Concilio Vaticano I talmente opportuna e feconda che non hanno esitato a reclamarla . Tutti i fedeli e soprattutto coloro che presiedono e insegnano, noi li supplichiamo, per le sofferenze di Cristo, e ordiniamo loro in virtù dell’autorità stessa di Dio Salvatore, di unire le loro caparbietà e i loro sforzi per allontanare questi orrori e per eliminarli dalla santa Chiesa. Che ognuno dunque si ricordi che può e che deve diffondere la fede cattolica attraverso l’autorità dell’esempio e predicarla attraverso la professione pubblica e costante degli obblighi che essa impone. Così, nei doveri che ci legano a Dio e alla Chiesa un grande posto occupa la fermezza con la quale ognuno deve adoperarsi, nei limiti del possibile, per diffondere la fede cristiana e respingere gli errori”.

Anche Pio XI si appella allo zelo dei laici. Nell’enciclica UBI ARCANO DEI, il Papa dopo avere fatto appello a tutte le Opere, scrive ai Vescovi: “ Riportate, tra l’altro, l’attenzione dei fedeli, che solamente lavorando, nelle opere di apostolato private e pubbliche, sotto la vostra direzione e quella del vostro clero, a sviluppare la conoscenza di Gesù Cristo e far regnare il suo amore, essi meriteranno il titolo supremo di popolo eletto, sacerdozio reale, nazione santa, popolo redento; solo unendosi molto strettamente a noi e a Cristo essi contribuiranno con maggior efficacia a ristabilire la pace generale tra gli uomini”.

I Papi non possono esporre più chiaramente la dottrina né affermare più energicamente la propria volontà. Per cui lo scopo immediato dell’azione deve essere senz’altro la riforma degli animi. Secondo la mentalità attuale, non c’è e non ci può essere né Verità né errore. Nelle menti a tal punto infette, bisognerà necessariamente introdurre nozioni fondamentali come l’esistenza reale della Verità, i suoi diritti e l’ingiustizia dell’errore.

Purtroppo anziché intraprendere questa strenua lotta contro le idee del modernismo, alcuni cattolici, chi per cortesia, chi per ignoranza, camminano sotto la luce sei principi moderni. Per salvare la Fede Cattolica, stabiliscono che, in pratica, ogni opinione và rispettata. E’ il loro modo di fare dell’apologetica: sembra che dicano agli infedeli: “ Noi rispettiamo la vostra fede, rispettate la nostra”.
Questi cattolici dimenticano le condanne d’autorità espresse dei Sommi Pontefici contro i principi moderni.
Già Pio VII biasimava formalmente, nella lettera al Vescovo di Troyes, l’introduzione delle libertà moderne nella Costituzione francese, ed esprime la propria angoscia con parole cariche di dolore: “Un nuovo motivo di pena, dal quale il nostro cuore è fortemente afflitto e che, lo confessiamo, ci causa un tormento, uno sconforto e una angoscia estremi, è il 22 articolo della Costituzione. Non solo vi si permettono le libertà dei culti e di coscienza, per utilizzare gli stessi termini dell’articolo, ma si promette appoggio e protezione a questa libertà e, inoltre, ai ministri di questi cosiddetti culti. Non occorrono lunghi discorsi, rivolgendosi a un vescovo come voi, per farvi chiaramente comprendere quale ferita mortale infligga questo articolo alla Religione Cattolica in Francia. Dal momento stesso che si stabilisce la libertà di tutti i culti, senza distinzione, si confonde la verità con l’errore e si pone sullo stesso rango delle sette eretiche e della stessa perfidia giudaica la Spasa Santa e Immacolata di Cristo, la Chiesa, al di fuori della quale non può esserci salvezza. Inoltre, promettendo favore e appoggio alle sette degli eretici e ai loro ministri si tollera e si favorisce non solo la presenza ma, soprattutto, i loro errori. Si è inequivocabilmente davanti alla disastrosa e deplorevole eresia che Sant’ Agostino menziona in questi termini: “Essa afferma che tutti gli eretici sono sulla buona via e dicono la verità, almeno in parte. Assurdità talmente mostruosa che non posso credere che una setta la professi realmente”.
Il nostro stupore non è da meno quando leggiamo il 23 articolo della Costituzione che legittima e permette la libertà di stampa, libertà che minaccia molto pericolosamente la fede e i costumi, destinati a una rovina sicura. Se qualcuno ne dubitasse, l’esperienza dei tempi passati basterebbe da sola a dimostrarglielo (si riferisce alla Riforma). E’ un fatto pienamente verificato: questa libertà di stampa è stata lo strumento principale che in primo luogo ha depravato i costumi dei popoli, poi corrotto e rovesciato la loro fede, infine sollevato sedizioni, litigi, rivolte. Questi mesti risultati dovrebbero essere ancora attualmente temuti, vista la cattiveria tanto grande degli uomini se, Dio non voglia, si permettesse a chiunque la libertà di scrivere ciò che vuole”. (oggi non esiste più nell’Indice ne l’Imprimatur)

E ancora Gregorio XVI: “ da tale fonte avvelenata dell’indifferenza sgorga questa massima menzognera e assurda, anzi, questo delirio: che bisogna procurare e garantire a ognuno la libertà di coscienza; errore fra i più contagiosi al quale ha spianato la strada questa libertà assoluta e senza freni, ovvero la libertà d’opinione che, rovina della Chiesa e dello Stato, si diffonde in ogni parte e che, alcuni uomini, per eccesso di impudenza, non temono di presentare come vantaggiosa per la religione. Eh! “quale morte più funesta per le anime che la libertà dell’errore!” diceva Sant’Agostino. Vedendo cos’ togliere agli uomini ogni freno capace di trattenerli sul sentiero della verità, mentre già tendono alla perdizione per una naturale inclinazione al male, affermiamo in verità che si è aperta quella fessura nell’abisso del quale San Giovanni vide salire un fumo che oscurava il sole e uscire delle cavallette per la devastazione della terra.
Da ciò dunque, l’instabilità delle menti; da ciò la corruzione via via crescente dei giovani; da ciò, il disprezzo dei popoli per i diritti scari, per le cose e le leggi sante; da ciò in una parola, il più funesto flagello che possa saccheggiare gli stati, perché, sono l’esperienza e la più remota antichità che ce lo insegnano, per portare alla distruzione gli stati più ricchi, più potenti, più gloriosi, più floridi sono bastate questa libertà sfrenata di opinione, questa licenza dei discorsi pubblici, questo ardore per le innovazioni.
A ciò fa seguito la libertà di stampa, libertà assai funesta, libertà esecrabile per la quale non si proverà mai abbastanza orrore e che alcuni individui osano, con tanto clamore e audacia, chiedere e diffondere ovunque. Noi fremiamo, Venerabili Fratelli, nel considerare quali mostri di dottrina o piuttosto quali prodigi di errori ci minacciano; errori disseminati ovunque, da ogni parte, per mezzo di una immensa moltitudine di libri, di opuscoli e altri scritti, poco voluminosi in verità, ma enormi in quanto a perversità, da cui si genera la maledizione che ricopre la faccia della terra e fa sgorgare le nostre lacrime. E ciò nonostante vi siano uomini sopraffatti da un tale eccesso di impudenza, che non temono di sostenere testardamente che il diluvio di errori che ne deriva è largamente compensato dalla pubblicazione di qualche libro stampato per difendere, in questo ammasso di iniquità, la verità e la religione. In ogni caso, è certamente un crimine, e un crimine condannato da qualsiasi sorta di diritto, commettere con meditazione un male certo e molto grave, nella speranza che, forse, ne derivi un bene; quale uomo di buon senso potrebbe osare di dire che è permesso distribuire dei veleni, venderli pubblicamente, anzi, prenderli con avidità, dietro il pretesto ch esiste qualche rimedio che in alcuni casi ha strappato dalla morte colore che se ne sono serviti?”

Gli insegnamenti di Pio IX sono abbastanza noti in materia, ci basti ricordare le proposizioni CONDANNATE nel Syllabus:
Prop. 77: “ Nella nostra epoca, non serve più che la religione cattolica sia considerata come l’unica religione di Stato, a esclusione di tutti gli altri culti “. (alloc. Nemo Vestrum, del 26 luglio 1855)
Prop. 78: “ Dunque con ragione, in qualche paese cattolico, la legge ha provveduto a che gli stranieri che vi si rechino godono dell’esercizio pubblico dei loro culti particolari “. ( alloc.Acerbissimum, del 27 settembre 1852)
Prop. 79: “ E’ falso che la libertà civile di tutti i culti e che il pieno potere lasciato a chiunque di manifestare apertamente e pubblicamente tutti i propri pensieri e le proprie opinioni conducano facilmente i popoli alla corruzione dei costumi e dello spirito e propaghino la peste dell’indifferentismo “. (alloc. Numquam Fore, del 15 dicembre 1856)

Leone XIII non è meno formale nel suo insegnamento riguardo Libertà ed Ecumenismo:
“ La libertà, questo elemento di perfezione per l’uomo, deve essere applicata a ciò che è vero e a ciò che è buono. Ora, l’essenza del bene e della verità non può cambiare a piacere dell’uomo, ma resta sempre la stessa e, non meno della natura delle cose, essa è immutabile. Se l’intelligenza aderisce a false opinioni, se la volontà sceglie il male e vi aderisce, né l’una né l’latra raggiungono la propria perfezione, entrambe abbandonano la propria dignità naturale e si corrompono. Non deve dunque essere permesso di esporre agli occhi degli uomini ciò che è contrario alla virtù e alla verità e, meno ancora di porre questa licenza sotto tutela e la protezione delle leggi. C’è un'unica via per arrivare al cielo, verso cui tutti noi tendiamo: è una via buona. Lo stato si allontana dunque dalle regole e dalle prescrizioni della natura se favorisce la licenza delle opinioni e delle azioni colpevoli a tal punto che si possa impunemente sviare gli spiriti dalla verità e le anime dalla virtù. Quanto alla chiesa, che Dio stesso ha stabilito, escluderla dalla vita pubblica, dalle leggi, dall’educazione dei giovani, dalla verità domestica, è un grandissimo e pernicioso errore. Una società senza religione sarebbe senza regole, e già si può vedere, forse più di quanto si dovrebbe, quanto valga in sé e nelle sue conseguenze questa cosiddetta morale civile”.

Nella sua enciclica “Libertas”, Leone XIII condannava con le seguenti parole le stesse libertà:
“ Altri vanno un po’ meno lontano, ma le loro tesi perdono di logica; secondo costoro, le leggi divine devono regolare la vita e il comportamento degli individui ma non quella degli stati: è permesso, nelle cose pubbliche, non rispettare gli ordini di Dio e legiferare senza tenerne conto; da cui la perniciosa conseguenza della separazione tra Chiesa e Stato. L’assurdità di queste opinioni si comprende facilmente. Bisogna, la natura stessa lo grida, bisogna che la società dia ai cittadini i mezzi e le facilitazioni per vivere la propria vita in onestà, ovvero secondo le leggi di Dio, in quanto Dio è il principio di ogni onestà e di ogni giustizia; ripugnerebbe dunque che lo stato potesse disinteressarsi di queste leggi, o persino che andasse contro di esse in qualsiasi cosa.
In più, coloro che governano i popoli hanno il dovere di garantire non solo i vantaggi e i beni esteriori, ma anche e soprattutto i beni dell’anima. Ora, per accrescere questi beni, non sapremmo immaginare nulla di più efficace che queste leggi di cui Dio è autore; ed è per questo motivo che, coloro che nel governare gli stati vogliono ignorare le leggi divine, allontanano veramente il potere politico dalla sua istituzione e dall’ordine prescritto dalla natura. Ma un’osservazione più significativa, e che noi stessi abbiamo ricordato più di una volta, riguarda il fatto che il potere civile e il potere sacro, benché non abbiano lo stesso obbiettivo e non camminino nella stessa direzione, si debbano comunque incontrare nel compimento delle loro funzioni. Entrambi infatti esercitano più di una volta il proprio potere sugli stessi oggetti, benché sotto punti di vista differenti. Il conflitto, in questi casi, sarebbe assurdo e sarebbe apertamente sgradito all’infinita saggezza dei consigli divini: occorre dunque necessariamente che vi sia un modo, un procedimento per annullare i motivi di contestazione e di lotte e dunque stabilire l’accordo nella pratica. Questo accordo, non senza logica, è stato paragonato all’unione che esiste tra anima e corpo, e ciò a vantaggio maggiore delle due parti congiunte, poiché la separazione è assai più funesta per il corpo in quanto lo priva della vita.
Per meglio comprendere queste verità, ci conviene considerare separatamente i diversi tipi di libertà che ci vengono proposti come conquiste della nostra epoca.
Innanzitutto, a proposito degli individui, analizziamo questa libertà tanto contraria alla virtù di religione, la cosiddetta LIBERTA’ DI CULTO, libertà fondata sul principio di legittimità di ognuno di praticare qualsivoglia religione o, persino, di non professarne alcuna. Al contrario, e senza alcun dubbio, tra i molteplici doveri dell’uomo, il più importante e il più santo e di rendere a Dio un culto di pietà e di religione. Questo dovere è la conseguenza del fatto che noi dipendiamo costantemente da Dio, che siamo governati dalla volontà e dalla Provvidenza di Dio e che, generati da Lui, a Lui dobbiamo ritornare.
Dobbiamo aggiungere che nessuna virtù degna di questo nome può esistere senza alcuna religione, poiché la virtù morale è quella i cui atti hanno per oggetto tutto ciò che ci conduce a Dio, considerato nostro bene supremo e sommo; è per questo che la religione, che “compie gli atti aventi come fine diretto e immediato l’onore divino” (Somma Teologica, 2° 2ae qu. LXXXI, a. 6), è la regina e al tempo stesso la regola di tutte le virtù. Se qualcuno domandasse, quale è bene seguire tra tutte le religioni attuali, escludendo tutte le altre, la ragione e la natura si unirebbero per risponderci: quella che Dio ha prescritto e che è facile identificare, grazie ad alcuni segni esteriori per mezzo dei quali la Divina Provvidenza ha voluto renderla riconoscibile, in quanto, vista l’estrema importanza della cosa, l’errore causerebbe conseguenza disastrose. Ecco perché offrire all’uomo la liberta di culto significa conferirgli il potere di SNATURARE IMPUNEMENTE IL Più SANTO DEI DOVERI, di rinnegarlo, abbandonando il bene immutabile per seguire il male: ciò che, l’abbiamo detto, non è più libertà, ma una depravazione della libertà e una schiavitù dell’anima nell’abiezione del peccato.
Considerata dal punto di vista sociale, questa stessa libertà pretende che lo stato non renda culto a Dio o non autorizzi nessun culto sociale; che nessuna religione sia preferita a un’altra; che tutti godano gli stessi diritti, senza avere considerazione del popolo, persino quando questo stesso popolo professa il cattolicesimo. Perché così fosse, occorrerebbe veramente che la comunità civile non avesse nessun dovere verso Dio o che, avendone, potesse impunemente affrancarsene; ciò è ugualmente e palesemente falso. Non si può, infatti, dubitare che l’unione degli uomini in società sia frutto della volontà e dell’opera di Dio, sia che si consideri la società nei suoi membri, nella sua forma che è l’autorità, nella sua causa o nei numerosi e importanti vantaggi che essa procura all’uomo. E’ Dio che ha creato l’uomo per la società e che lo ha unito ai suoi simili affinchè le necessità della sua natura, impossibili da soddisfare individualmente, potessero realizzarsi nell’associazione. Ecco perché la società civile, in quanto società, deve necessariamente riconoscere in Dio il proprio principio e il proprio autore e, di conseguenza, rendere al suo potere e alla sua autorità l’omaggio del suo culto. Dunque, né per giustizia, né in virtù della ragione, lo stato può essere ateo o, agendo concretamente da ateo, riconoscere a tutte le religioni la libertà di culto, accordando a esse analoghi diritti”.

( tratto dal Catechismo dei Diritti Divini nell’ordine sociale )

martedì 6 gennaio 2009

Borgia da riabilitare.

di Franco Cardini
[Da "Avvenire, 01 ottobre 2002]


Le crociate, l’inquisizione, la «caccia alle streghe»: vecchi stereotipi d’una ricostruzione storica tendenziosa, esplicitamente e volgarmente anticlericale e anticattolica, che dal pieno Settecento illuministico attraverso il Risorgimento laicistico e antipontificio sono giunti ai nostri giorni, e hanno anzi ripreso slancio negli ultimi tempi (magari ambiguamente travestiti da istanze tollerantistiche, da par condicio, da politically correct). I mass media continuano a far circolare questa paccottiglia pseudostorica fin dentro le scuole cavalcando sovente la mancanza di aggiornamento e la miseria intellettuale d’insegnanti frustrati. In questa desolante galleria dei mostriciattoli storici, i Borgia occupano naturalmente uno dei primi posti: infame genìa di Papi corrotti, di tiranni infami, di principesse bagasce e avvelenatrici. Continuano a circolare nelle librerie e nelle scuole i libri del protestante Ferdinand Gregorovius, pur vecchi di più d’un secolo: anche se si preferisce abbuiare il fatto che fu proprio lui, l’austero luterano tedesco, a scagionare dalle infamie da romanzaccio d’appendice che ancora l’avvolgevano proprio la figura di Lucrezia Borgia. Recenti convegni storici di alto livello ed esposizioni di ottimo profilo non saranno sufficienti – nessuno si faccia illusioni – a «riabilitare» la «maledetta» memoria di quella famiglia. Il pregiudizio è sordo: e non c’è peggio sordo di chi non vuol sentire. Una società civile che sta forse progredendo economicamente ma imbarbarendo culturalmente, che ama gli stereotipi, che si accontenta in storia come in politica di un rozzo manicheismo, non ha alcun interesse alla verità storica. I Borgia continueranno ad essere i mostri del Rinascimento. Chi fossero nella realtà, è un altro discorso. La famiglia valenciana dei Borja, che vantava funzioni comitali fin dal XII secolo, si trasferì a Roma nella prima metà del Quattrocento, quando da poco vi era definitivamente rientrata la corte pontificia dopo gli anni tempestosi del «grande» e del «piccolo» scisma d’Occidente: dolorosa e tempestosa vicenda che si era trascinata per un settantennio intrecciandosi con gli eventi della guerra dei Cent’Anni. Demiurgo della fortuna familiare fu il cardinal Alonso, uomo di fiducia della dinastia aragonese che all’epoca dominava il Mediterraneo occidentale e si stava apprestando all’ultima fase della Reconquista della penisola iberica contro l’ultimo potere «moro», l’emirato di Granada. Elevato alla tiara nel 1455 col nome di Callisto III, il Borgia non esitò a riempire di favori i suoi più prossimi congiunti: i nipoti Pedro Luis, Rodrigo e Francesco (che si diceva fosse suo figlio naturale). Con il primo pontefice di casa Borgia la cosiddetta politica «nepotista», fatta di favori e di prebende elargite ai familiari, toccò l’apice: e lo scandalo ch’essa provocò tra gli spiriti pii (ma anche lo scontento ch’essa determinò tra i ben meno pii rivali e concorrenti) furono senza dubbio tra le cause di quella che sarebbe stata, nel primo Cinquecento, la Riforma protestante. Ma pratiche quali venalità e nepotismo erano all’epoca comuni, e non solo in seno alla Chiesa. Per oltre un secolo, tra Quattro e Cinquecento, la tiara pontificia fu in mano alle grandi famiglie: i Colonna, i Della Rovere, i Borgia, i Medici, dietro a ciascuna delle quali stava un potente protettore (i sovrani iberici, l’imperatore, i re di Francia e d’Inghilterra). In effetti il Sacro Collegio cardinalizio funzionava come una specie di «gran consiglio» dell’Europa cristiana, dove ogni re disponeva del suo cardinale-portavoce (e talora di più d’uno). Rodrigo Borgia, divenuto Papa – grazie all’appoggio del re di Francia – col nome di Alessandro VI nel «fatale» 1492, non esitò a sfruttare per le esigenze del suo governo anche l’abilità, l’intraprendenza e la disponibilità dei suoi numerosi figli, specie quelli avuti dalla prediletta Vannozza Catanei: Cesare, Giovanni e Lucrezia. Che Alessandro sia stato un Papa «mondano», è innegabile. Di lui restano gli appartamenti vaticani riccamente affrescati dal Pinturicchio, la memoria della raya tracciata nel 1494 per separare le terre del Nuovo Mondo spettanti alla corona di Spagna da quella del Portogallo e la memoria del martirio ch’egli avrebbe fatto subire al domenicano Girolamo Savonarola. In realtà, con il frate ferrarese divenuto dittatore a Firenze il Papa fu molto paziente, e non è del tutto vero che fu la sua volontà a determinare il golpe cittadino che, nel 1498, mise fino al suo governo e alla sua vita. Vero è invece che questo pontefice, tutt’altro che modello di spiritualità, fu animato comunque da una sua pietas religiosa e seguì molto da vicino Ordini religiosi e ambienti rigoristi nei quali si andava preparando lo stesso spirito della Riforma. In ciò, Rodrigo avrebbe in qualche modo preceduto l’atteggiamento di sua figlia Lucrezia, che alla fine della sua non lunga vita – che le aveva valso l’amicizia e l’ammirazione di uomini come l’Ariosto e il Castiglione – seppe sviluppare una devozione religiosa sincera e fu a stretto contatto di figure femminili di grande spiritualità. Particolarmente discussa la figura di Cesare, il «duca Valentino» nel quale Nicolò Machiavelli avrebbe riconosciuto uno degli Idealtypus del Principe del suo tempo, abile e spregiudicato fino alla spietatezza. Ma il giovane cardinale, poi datosi all’attività politica e militare, fu uno dei creatori d’uno Stato pontificio caratterizzato da una grande flessibilità istituzionale e al tempo stesso da un solido controllo centrale: insomma, favorì un processo di modernizzazione che il Papa successore di suo padre, quel Giulio II ferocemente avverso alla dinastia Borgia, avrebbe in realtà continuato. L’inserimento dei Borgia nel contesto del passaggio dal Medioevo al Rinascimento e del rinnovarsi delle istituzioni politiche della Chiesa era da tempo realtà storica ben nota agli specialisti. È forse il tempo che cadano anche molti vecchi pregiudizi diffusi che si sono trascinati fino ai giorni nostri: ciò è condizione per una crescita culturale che, tuttavia, stenta a mostrare i suoi frutti in una società nella quale, al contrario, pregiudizi e schemi di comodo sembrano venire adottati da quegli stessi soggetti – ad esempio tv e giornali – dai quali ci si dovrebbe legittimamente aspettare la promozione d’una crescita intellettuale collettiva.

© Avvenire

lunedì 5 gennaio 2009

La sorte di chi abbandona Cristo.

BRASILIA - Nel 2009 il governo brasiliano distribuirà gratis alla popolazione 1,2 miliardi di profilattici, 70 milioni di confezioni di pillole anticoncezionali e mezzo milione di pillole del giorno dopo. La grande campagna di prevenzione dell'Aids, delle malattie veneree e delle gravidanze indesiderate, senza precedenti nel mondo, è stata annunciata oggi dal ministero della Sanità di Brasilia. In pratica, se lo desidera, ogni maschio adulto in Brasile potrà ricevere gratis 22 preservativi nel corso dell'anno (e molti di più se si calcolano quelli che non faranno ricorso alla donazione di Stato), mentre ogni donna potrà ricevere pillole sufficienti per non correre rischi di gravidanza durante i prossimi dodici mesi.

"E' la prima volta nel mondo che un governo si fa carico pressoché integralmente della prevenzione delle nascite e delle malattie veneree", ha detto Adilson Franca, direttore delle iniziative strategiche del ministero. In questo modo, ha insistito Franca, si punta anche ad una riduzione rilevante degli aborti (clandestini e non) e delle operazioni di sterilizzazione. Alla fine del 2008 è stata inaugurata in Brasile la prima fabbrica statale di profilattici a Xapurì, maggior centro di produzione del lattice di gomma naturale. Immediate le reazioni negative della Chiesa brasiliana. "Il governo vuole diminuire la popolazione con la distribuzione massiccia di pillole e profilattici, invece di educare alla maturità nell'esercizio della sessualità", ha affermato Antonio Augusto Dias Duarte, vescovo ausiliare dell'archidiocesi di Rio de Janeiro. Il programma nazionale di sensibilizzazione sull'Aids e sulle malattie veneree ha coinvolto nel 2008, secondo Mariangela Simao, coordinatrice del programma, il 96% della popolazione brasiliana.

Fonte ANSA.



E poi c'è ancora chi si chiede perchè le statue della Madonna piangono sangue

Le Religioni tutte uguali?

Le religioni sono tutte uguali o equivalenti?
Niente di più falso o illogico.
Niente di più «scientificamente» errato.
Che il cristianesimo sia l’unica religione vera è assunto comprovabile anche da un semplice esame della simbologia sottesa alla rappresentazione dei relativi «credo».
La veridicità della Fede cristiana si comprova dal fatto che essa sia l’unica veramente discendente.
E’ la religione della Rivelazione Divina; benché anche altre credenze suppongano tale rivelazione (1), in realtà in esse è assente il processo discendente, che rende unico l’evento salvifico del cristianesimo: e la discesa del Divino nell’umano (dell’Increato nel creato) è tale da comportare il «farsi carne» del Dio infinito ed «infinitamente oltre».
L’Incarnazione quindi è il fatto veramente nuovo e dirimente la storia dell’umanità: nelle altre religioni monoteiste, che pretendono di possedere la rivelazione autentica, si deve notare la carenza di un simile sconvolgimento cosmico.
L’Islam ignora, anzi rifiuta categoricamente l’ipotesi di una incarnazione; Allah è troppo lontanamente distante e trascendente, per abbassarsi alla condizione di uomo; eppure in questo consiste davvero l’amore di Dio. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito»; segreto della kenosi divina nel nulla del creato.

simbolo1.jpg Il simbolo dell’Islam è infatti la «mezzaluna»
(a volte accompagnata da una stella a cinque punte), rappresentazione grafica assolutamente priva di ogni riferimento spirituale a questo processo di donazione del Dio infinito all’uomo finito e peccatore di cui è invece portante l’avvento di Gesù. La mezzaluna e la stella, probabilmente antecedenti a Maometto stesso, sono raffigurazioni dei due astri del cielo, (luna e sole, rispettivamente), a rappresentare (attraverso corrispondenze numeriche e letterali) Dio stesso, nella luna crescente (votata cioè ad illuminare l’oscurità, anche se l’allusione originaria molto probabilmente concerne il sorgere e calare della luna, ossia le fasi lunari ed i cicli della natura e la stessa fertilità della terra, con forse allusioni alla dea-madre) ed il nome del profeta Maometto (nella stella a cinque punte, che però potrebbe anche richiamare i «cinque pilastri dell’Islam» (testimonianza di fede; preghiere rituali; elemosina canonica; digiuno durante il mese di Ramadan; pellegrinaggio alla Mecca).
Simbologia asettica; non parla al cuore dell’uomo, perché non lo riguarda se non per «massimi sistemi».

L’ebraismo è la religione della rivelazione divina, che «prepara» l’unico evento salvifico: l’incarnazione del Verbo.
Perso questo riferimento essenziale, il popolo eletto, pur sacro, in virtù ed in vista dell’umanità santissima di Gesù e di sua Madre, è avvolto nella cecità e vive confuso nel buio del rifiuto dell’unico Messia.
Questo suo allontanamento dal Vero precipita nella deformazione interpretativa del senso delle Scritture, fino a sposare ideologie radicalmente gnostiche.La «stella di Davide», o sigillo di Salomone (perché costui l’avrebbe utilizzato al momento della morte per scacciare demoni ed invocare angeli), assunta come simbolo, possiede in se stessa richiami fortemente esoterici (tra l’altro è noto il suo largo impiego in tutto il mondo dell’occultismo): i due triangoli equilateri sovrapposti rinviano, in ultima analisi, alle forze cosmiche dell’universo: alla terra e all’acqua (triangolo con punta verso il basso) e all’aria e al fuoco (verso l’alto), con il risultato finale (nell’esalfa) di un esagono rappresentante il perfetto equilibrio dei flussi energetici vitali onnipervadenti.
Come è evidente si è smarrito completamente ogni cenno al Dio personale e trascendente dell’Antico Testamento.
Altre diffusissime religioni mondiali, che non possiamo assolutamente definire «monoteiste», si avvalgono di simboli che svelano molto della loro spiritualità e dei fondamenti del loro credere.


Il Buddismo assume come segno di identificazione la cosiddetta «ruota del Dharma».

Questo emblema rinvia espressamente alla «legge universale» che regola il ciclo vitale dell’intero universo, di cui l’uomo stesso è partecipe.
La ciclicità ricorda il percorso obbligato delle diverse reincarnazioni, l’infinito svolgersi e riavvolgersi degli eventi, che si susseguono in forza del karma di ognuno.
Il cieco destino meccanicisticamente retributivo dell’esistenza umana (ridotta poco più che ad una sorta di «residuo energetico», che vaga di corpo in corpo), operante senza posa fino ad interrompere definitivamente lo stato di impermanenza, attraverso il risveglio (buddhi), l’illuminazione, l’intuizione della «pura coscienza».
Anche qui, è evidente, non esiste nessuna traccia di un Dio Persona che ama l’uomo: sappiamo che Buddha è un prototipo di liberazione, un modus, di per sé non foriero della vera libertà, come invece accade con Cristo: «Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero»: Gesù vero attore e protagonista della liberazione: il cristianesimo implica adesione totale a Lui, alla sua Persona, alla sua Verità; non concerne il percorrere un ottuplice sentiero né il meditare ritmico di incomprensibili mantra.


L’induismo si colloca in una prospettiva simile.
L’emblema di questa complessa ideologia religiosa è normalmente l’Omkar (Aum: A creazione Brahma), U conservazione (Visnu), M dissoluzione (Shiva)) , forse più noto in occidente come «Om», mantra primordiale, il suono primordiale da cui scaturì ogni manifestazione del reale (impropriamente detto «creato»), suono sotteso ad ogni realtà e coincidente invero con il divino stesso che riecheggia ed evoca.
Il monismo filosofico alla base dell’ideologia indù fa coincidere la sillaba sacra con la stessa realtà figurata: percepirne la vibrazione fondamentale è arrivare a realizzare la vera conoscenza, la consapevolezza dell’unità di tutto l’esistente: Brahman.
La concezione monista distrugge l’individualità dell’uomo e perfino la sacralità della persona; essa non è più oggetto e soggetto di amore di un Dio infinitamente libero e potente, ma il frutto quasi inconscio di un processo di emanazione o similare; per questo la vita è illusione: la stessa coscienza di esistere e di essere è l’inganno estremo da cui liberarsi.


Anche il taoismo, percepisce l’esperienza del reale, come frutto del dualismo apparente delle opposte polarità di segno differente, che intersecandosi (Yang il principio positivo, maschile, in bianco e Yin il principio negativo, femminile, in nero)danno vita all’universo esistente; principio, via ed essenza, ad un tempo, il «tao» implica, mutatis mutandis la stessa ideologia monista dell’induismo.


Ancor più vago e meno coinvolgente per intensità è il «torii», simbolo shintoista, che indicano una sorta di valico, una porta d’accesso ad uno spazio sacrale.Lo shinto, come noto, è in fin dei conti una religione animista, che si perde pertanto nella confusione estrema di un sacro imperante ed immanente, incapace di coglierne gli aspetti veramente trascendenti ed unici.


Il cristianesimo, in ultimo, lo sappiamo, utilizza la croce; meglio sarebbe dire il crocefisso.
Infatti se è vero che la croce è stata emblema del culto del dio sole, il crocefisso è soltanto segno forte del cristianesimo.
La stoltezza per i pagani e lo scandalo per i giudei è sovvertimento di tutte le ideologie religiose esistenti.L’unica religione ad avere come simbolo un morto, un sofferente, un fallito, un umiliato.
Nulla di tutto questo nel «panciuto» Buddha o nell’inquietante e mortifera Kalì.
simbolo7.jpg Il segreto della croce è il segreto della Vita e della resurrezione; è l’albero vero della vita, al centro del giardino, a oriente, al quale è ora possibile accedere, grazie al sangue dell’uomo-Dio, che gronda dal legno per la salvezza.
Il crocefisso, che Zapatero ed i ridicoli sinistroidi laicisti come lui vogliono togliere, è un messaggio diretto al cuore dell’uomo: è speranza per i sofferenti, sostegno delle loro pene mai dimenticate dal Dio Amore - come accade in ogni visione monista, in cui ad emergere veramente è la solitudine profonda dell’essere umano, amato da nessuno, scintilla di un fagocitante universo che lo porterà prima o poi ad estinguersi - è vittoria della «debolezza» di Dio sulla presunta forza dell’uomo;
è abbattimento di ogni schema mentale, di ogni umano pensiero, di ogni previsione di redenzione o liberazione.

La croce è certezza della vittoria del Bene sul male, di Dio sull’inferno e sul peccato, è segno perenne di Dio che si china sul piccolo, sull’umile, sul sofferente, sul peccatore, su ogni umano respiro e sospiro del cuore.
E’ il Dio Persona che effonde il suo cuore di Padre sull’uomo bisognoso di paternità e di vita, di luce e di pace, di gioia profonda e di senso vero.
La croce è ricongiungimento dell’infinità di Dio nella finitezza dell’uomo; della santità eccelsa, con il peccato estremo (a nessun peccato infatti è precluso il perdono); della vita profonda ed imperitura nella morte spirituale ed eterna.
La croce, centro del messaggio della vita, dell’amore e della pace, che Dio gratuitamente dona all’uomo, segno evidente dell’unica verità rivelata.


di:Stefano Maria Chiari
da:effedieffe