mercoledì 5 agosto 2009

Italia diffamata.

Ai membri di Benedetto XVI - L'umile lavoratore nella vigna del Signore
Augusto Prinsen

Oggi alle 9.13
RispondiItalia diffamata

Non per virtù, ma per amore di vita tranquilla, per timore di altre responsabilità oltre a quelle, già pesanti, della scrittura, sempre ho evitato di sedermi su sgabelli o poltrone di potere e di autorità, in quel mio piccolo campo che è la carta stampata, di libri e giornali. (Manzoni, su quel don Ferrante cui va un poco della mia simpatia: «Non gli piaceva né obbedire né comandare»).

Eppure, talvolta mi diverto a far liste di «reati» cui, ne avessi per assurdo il potere, legherei sanzioni almeno pecuniarie. Una di quelle multe andrebbe a quei miei colleghi che indulgessero all'abitudine -che è solo italiana- dell'autodiffamazione nazionale. Cadrebbero sotto la mannaia le parole di cui ogni giorno grondano i "media", oltre che i bar: «all'italiana», per indicare cosa approssimativa se non truffaldina; «non c'è niente da fare, tanto siamo in Italia»; «solo in Italia può succedere che...»; "et similia". E le mie sanzioni scatterebbero non solo per amore dell'Italia (che pure non mi è per niente estraneo: tra le colpe più gravi del fascismo c'è l'averci derubati della possibilità di pronunciare senza sensi di colpa quel bel nome di 'patria', terra dei padri, che uno come il papa, che non ha i nostri complessi da Ventennio nazionalista, usa con libertà). Non comunque -almeno, non innanzitutto- per amore dell'Italia; ma di quell'altra patria i cui confini sono quelli stessi del mondo e che chiamiamo Chiesa.

E' infatti cosa inoppugnabile: la polemica antitaliana è in realtà Polemica anticattolica nasce con Lutero e diventa poi -dilagando alla grande sino ai nostri giorni- uno dei capisaldi della propaganda protestante. E, al suo seguito e sul suo esempio, di ogni propaganda anticlericale, illuminista, massonica; e chi più ne ha più ne metta. Il cattolico è, con sprezzo, il «papista»; ma il papa -che è l'Anticristo per la teologia dei «riformatori» ed è l'Oscurantista, il Repressore per ogni «progressista»-, il papa è quasi sempre italiano, sta comunque a Roma; e l'Italia, di cui è Primate, è la sua superdiocesi, da cui viene la maggioranza dei santi, dei fondatori, dei teologi. Denigrare cultura e costumi italiani, così profondamente forgiati dal cattolicesimo, diffamare questo Paese che da sempre dà il nerbo della classe dirigente della Chiesa, vuol dire polemizzare con il cattolicesimo.

Non si tratta, ripeto, di ipotesi, ma di realtà benissimo documentate: sino ai primi decenni del Cinquecento, il nostro prestigio è altissimo e senza discussioni, in Europa. «Italiano» è sinonimo di colto, di civile, di ammirevole (e ammirato fu anche il giovane Lutero, fraticello ancora timorato che, andando a Roma, disse di essere passato di meraviglia in meraviglia, strabiliato persino dalla efficienza degli ospedali...). Sino all'esplodere della furibonda propaganda di quel tedesco e degli altri riformatori contro «la Bestia romana», in nessuna lingua troverete mai espressioni come «all'italiana» in senso negativo. Al contrario!

E' una diffamazione che ha fatto fortuna, sino al punto di convincere gli stessi diffamati. Scorrete i giornali di ogni tendenza e avrete quotidiana conferma che l'autodiffamazione nazionale (praticata, senza eccezioni né limiti, da quasi tutti, per una volta unanimi) sempre si accompagna all'esplicita o almeno implicita nostalgia di una Riforma mancata, al complesso di inferiorità verso una mitica Europa nordica e di tradizione protestante, considerata come modello cui tendere. «Un Calvino, uno Zwingli, un Cromwell: ecco ciò che è mancato all'Italia per diventare un Paese civile»: questo il "leit-motiv" della pubblicistica laicista, sulle orme dei suoi "maîtres-à-penser". Per restare al solo nostro secolo, un Croce, un Gobetti, un Gramsci, un Einaudi, un Mussolini stesso: tutti convinti che le nostre magagne fossero senza confronti nel mondo e derivassero tutte dal cattolicesimo, castratore e corruttore di popoli. E di quel popolo soprattutto che, il papa, ha la sventura di avercelo in casa.

Non ho nulla, è chiaro, contro il protestantesimo (anche se, pur fraternamente ossequiandolo, lo lascio volentieri ad altri; né sono affatto convinto che si identifichi con termini come «civile», «moderno», «progressista» e via magnificando). Ma neanche mi piace cadere nella trappola di un anticattolicesimo superficiale quando non faziosamente interessato.

Ecco perché ci andrei con mano pesante con chi in quella trappola ci si ficca volontariamente e, se credente, non si accorge del trucco che vi sta dietro. Paghi la multa e si renda conto che c'è un motivo preciso se gli italiani -e, si badi bene, essi soli, nel mondo, a conferma che c'è qui qualcosa che va ben al di là di difetti oggettivi- hanno fatto dell'autodiffamazione e della sfiducia in se stessi in quanto popolo lo sport nazionale.

Autore: Vittorio Messori
Fonte: Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline, Milano 1992, p. 55-57


Che dire.... standing ovation!

martedì 4 agosto 2009

I cristiani bruciati vivi in Pakistan sono vittime della Legge islamica .

Si fa presto a dire che in Pakistan i Cristiani sono perseguitati dai “fondamentalisti” islamici. Il massacro di ieri – 7 persone bruciate vive dalla folla, donne e bambini compresi – dimostra che non è così. Dagli anni Settanta, cioè da quando nel Paese fu introdotta la Sharia, la comunità cristiana è nel mirino della Legge islamica. Con i governi di Ali Bhutto e Zia ul-Haq passano le indecenti leggi sulla “blasfemia” che negli ultimi anni hanno permesso di arrestare e minacciare con la pena capitale chi appartiene ad altre minoranze religiose (in Pakistan vivono oltre 2 milioni e mezzo di cristiani).

Questa legislazione è stata rinforzata da Nawaz Sharif nel ’91, lo stesso Sharif dipinto come un eroe del Pakistan democratico dopo che la Corte Suprema pakistana gli aveva dato ragione nella disputa con il generale Musharraf. Per protestare contro le leggi sulla blasfemia, in quel periodo, il vescovo di Faisalabad decise di suicidarsi.

Nei giorni scorsi, la folla islamica ha fatto scempio della comunità di Goan accusando i cristiani di aver insultato il Corano. Che adesso il governo pakistano si dolga dell’accaduto (il ministro delle minoranze Bhatti ha detto che “la folla è stata sviata dagli estremisti”, cioè dai chierici che predicano contro i cristiani) e abbia spedito i Ranger a riprendere il controllo della situazione (50 arresti tra i “fondamentalisti” nelle ultime ore) conta davvero poco.

Ieri Benedetto XVI ha chiesto di pregare per i “cristiana discriminati e perseguitati a causa del nome di Cristo”. In effetti, in Pakistan, basta affermare che “Gesù è figlio di Dio” per rischiare una condanna a morte (articolo 295 del Codice Penale, è reato “accostare qualcosa o qualcuno alla venerazione del nome di Allah e del Profeta Maometto”). Quindi, se la legge dice che i cristiani sono blasfemi e vanno puniti con l’esecuzione capitale perché il governo pakistano si stupisce tanto se la folla incitata dai mullah dà fuoco alle chiese e a chi ci prega dentro? Con la scusa del fondamentalismo si legittima lo stato di fatto.

Il 28 ottobre del 2001, a Lahore, i miliziani islamici freddarono 15 cristiani in una Chiesa. Un messaggio molto chiaro e 3 settimane dall’inizio della Guerra in Afghanistan. Il 25 settembre del 2002, altri 7 cristiani che si occupavano di beneficenza furono tolti di mezzo a Karachi; vennero ritrovati incaprettati e con la bocca coperta da nastro adesivo. Nel novembre del 2005, 3.000 “fondamentalisti” attaccarono e distrussero chiese e luoghi di culto cristiani in tutto il Paese. Il governo non mosse un dito per perseguirli.

Nel febbraio del 2006, dopo la pubblicazione delle vignette danesi su Maometto, a essere prese di mira furono le scuole cristiane in Pakistan; in quel caso la polizia riuscì a trattenere a stento la folla. Qualche mese dopo, un pakistano cristiano venne selvaggiamente picchiato perché stava bevendo acqua da una fontana pubblica. Dissero che “il cane cristiano ci stava avvelenando”. Quell’estate, altri 3 cristiani furono feriti seriamente e di un altro si sono perse le tracce dopo che la folla aveva assaltato un villaggio nei pressi di Lahore, bruciando le case e dissacrando le Bibbie.

Il 5 dicembre 2007, la prima kamikaze pakistana coperta dal burqa si fece esplodere davanti a una scuola cattolica. Negli ultimi due anni si è perso il conto degli arresti per blasfemia, delle conversioni forzate all’Islam, delle minacce rivolte ai cristiani ma anche al Papa dai chierici inferociti per il protrarsi della “occupazione dei Crociati” in Afghanistan.

Ieri il presidente pakistano Ali Zardari è intervenuto per dire che le violenze di Goan “Vanno contro lo spirito dell’Islam e le norme della società civile”. Viene da chiedersi quali pensando alle leggi in vigore in Pakistan.

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